Il commento dell'arcivescovo di Taranto sul divario crescente della disoccupazione tra Nord e Sud d'Italia e poi sul caso Ilva e quello dell'Eni, sul referendum e le esortazioni a ridare dignità e valore al lavoro
“Nella situazione del Sud certamente manca una strategia specifica per colmare la differenza che esiste tra Nord e Sud”. A dirlo non è un economista ma un uomo di Chiesa: l'arcivescovo di Taranto, mons. Filippo Santoro. Lui, però, non è soltanto un alto prelato ma una persona che nella Chiesa si interessa anche specificatamente proprio dei problemi occupazionali rivestendo nella Cei (Confederazione episcopale italiana) il ruolo di presidente della Commissione per i problemi sociali e del lavoro. E a Taranto affrontare questo tema significa parlare sempre, purtroppo, di stretta attualità, soprattutto ora che è diventato ancora più stridente e di difficile coesistenza la premura per la tutela ambientale e la necessità di salvaguardare i posti di lavoro, in particolare nell'Ilva e nell'indotto.
L'arcivescovo Santoro, riferendosi alla sempre maggiore differenza tra la situazione a Sud e quella al Nord dell'Italia, che “a Taranto, ma in altri luoghi più che da noi, siamo al 54%, se non di più, di disoccupazione giovanile. Nell’insieme, ci sono quegli indicatori di crescita, 0,8%-0,9%, che però nel Sud sono 0,1%, e quindi la differenza cresce ed è destinata ad aumentare. Per questo ci vuole proprio una strategia specifica per il lavoro in genere, ma soprattutto una strategia rivolta al Sud». Un ragionamento chiaro, quello fatto davanti ai microfoni di Radio Vaticana da mons. Santoro, che non lascia equivoci su come si allarghi la forbice tra le due realtà dell'Italia.
In merito agli strumenti di lotta alla povertà, Santoro L'arcivescovo di Taranto chiama alla responsabilità il governo centrale ma anche di altri organismi quando afferma, in modo inequivocabile, che che al il problema Sud «c'è una responsabilità globale delle leggi del governo centrale. Senz'altro bisogna fare grossi passi avanti. Poi, c'è una responsabilità degli imprenditori, perché se vogliamo superare la mancanza di lavoro, se vogliamo superare la povertà, la povertà si risolve non con gli appelli, non con un moralismo generico; si risolve con un rilancio delle opportunità di lavoro, con un rilancio dell’impresa. E poi è necessaria questa educazione dei giovani, proprio perché siano orientati nella direzione di un lavoro più creativo, di un lavoro più attento alle innovazioni tecnologiche».
Nell'analisi compiuta dall'arcivescovo di Taranto non poteva mancare il riferimento al recente referendum sulle trivelle in mare. La sua posizione è sempre stata chiara avendo esortato i cittadini a recarsi al voto ma anche parlato dello sfruttamento del petrolio in Basilicata, del caso Eni e infine dell'Ilva.
Per l’arcivescovo occorre «procedere gradualmente, passando dal carbone, dall’oro nero a nuove fonti, a nuove sorgenti energetiche alternative. Lo vedo qui, anche nella situazione del petrolio, dell’Eni, che abbiamo qui a Taranto, ma soprattutto dell’Ilva. E’ ben possibile, per questa grande industria siderurgica, una transizione dal ciclo completo del carbone a un ciclo che introduca il gas, a un ciclo che introduca elementi non inquinanti. La produzione deve avere, come obiettivo, questa ecologia integrale, che come fine ultimo abbia non solo la produzione, il guadagno, ma la difesa della vita, la difesa del territorio, la difesa del cielo: un passaggio graduale ma oltremodo necessario”.
Infine l'esortazione che l'arcivescovo ha rivolto a tutti: “C'è l'urgenza di non sottomettersi a quello che il Papa chiama 'paradigma tecnocratico'. Si sente l’esigenza che questa dimensione del lavoro solo in vista della produzione sia superato. Il richiamo che facciamo è quello a riscoprire la dignità del lavoro, il valore del lavoro”. (Carmelo Molfetta)
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