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Ultimo aggiornamentoSab, 03 Ago 2024 2pm

Confermata in appello condanna a 6 anni e mezzo per Fabio Riva

Stessa condanna anche in appello per Fabio Riva, figlio di Emilio ex patron dell'Ilva. Nei suoi confronti la Corte d’Appello di Milano ha confermato la condanna di primo grado in riferimento alla vicenda della presunta truffa ai danni dello Stato da circa 100 milioni di euro. Confermate anche le altre due condanne inflitte in primo grado per l’ex presidente della finanziaria svizzera Eufintrade Alfredo Lomonaco (5 anni) e per l’ex consigliere delegato di Ilva Sa Agostino Alberti (3 anni).

La Corte ha deciso pure la confisca di 91 milioni di euro e la provvisionale da 15 milioni di euro a favore del Ministero dello Sviluppo economico. È stata condannata anche la Riva Fire, imputata in base alla legge 231/2001 sulla responsabilità amministrativa degli enti: dovrà pagare una multa di 1,5 milioni di euro. Per quanto riguarda la Riva Fire, i giudici hanno deciso che non potrà ricevere finanziamenti, sussidi e agevolazioni dallo Stato per un anno. Inoltre, la sentenza ha stabilito che non potranno essere versati i contributi già deliberati da Simest in favore di Ilva e che il gruppo Riva dovrà rimborsare i contributi già ricevuti.

Fabio Riva, ex vicepresidente di Riva Fire, la holding che controllava il gruppo dell’Ilva di Taranto, è stato latitante per quasi 3 anni in Inghilterra prima di costituirsi in Italia. Alla pronuncia della sentenza era presente in aula, seduto sul banco degli imputati. Va chiarito che i giudici del tribunale di Milano sono stati più severi delle richieste formulate dalla procura.

La presunta truffa attuata dal gruppo Riva attraverso l'Ilva di Taranto sarebbe stata questa: la società siderurgica avrebbe ricevuto contributi della Simest (controllata dalla Cassa Depositi e Prestiti) finalizzati all'export senza averne diritto.  Più nel dettaglio è questa l'ipotesi accusatoria costruita dai pm. La presunta truffa sfruttava i contributi all'esportazione della Legge Ossola, fondi pubblici erogati dalla Simest. Le agevolazioni servono a coprire le perdite che le società esportatrici sostengono per aver concesso dilazioni di pagamento all'acquirente estero. Il sostegno si applica solo per le esportazioni di beni d'investimento e fino all'85% del valore dei prodotti venduti. Gli inquirenti sostengono che per ottenere le agevolazioni era stata costituita una società ad hoc, la svizzera Ilva Sa, che acquistava tubi per oleodotti e metanodotti dall'Ilva Spa e li rivendeva, allo stesso prezzo, a società estere. A questo punto Ilva Spa concedeva a Ilva Sa una dilazione di pagamento di cinque anni, ottenuta la quale la consociata svizzera dell'Ilva si faceva però pagare immediatamante dagli acquirenti esteri: in 90 giorni incassava sempre l'intero valore. LIlva Spa portava alla finanziaria svizzera Eufintrade le cambiali internazionali (promissory notes) ricevute da Ilva Sa come pagamento delle forniture di tubi e la Eufintrade le scontava: pagava cioé a Ilva il valore della vendita meno una percentuale. In questo modo Eufintrade incassava sempre il 15% dei contributi erogati dalla Simest. Il sistema sarebbe andato avanti dal 2003 fino a pochi mesi fa. Il profitto totale sarebbe stato di 121 milioni di dollari più 18 milioni di sterline: cioé oltre 100 milioni di euro. (Carmelo Molfetta)