Mons. Filippo Santoro: a Taranto scontro tra interessi diversi
"La ritualità degli auguri ci parla molto di più di quanto possiamo relegare alla sfera delle usanze, delle convenzioni, della circostanza o della banalità. Sommersi da messaggi di ogni tipo - dichiara l'arcivescovo di Taranto, mons. Filippo Santoro in occasione del messaggio di auguri di Capodanno - diamo ad essi un significato di passaggio. Eppure nella quantità industriale di auguri che produciamo e riproduciamo per quel meccanismo di copia - incolla - inoltra, una volta scelto il contenuto che più secondo noi attira, colpisce o sembra autentico, ho la netta sensazione che nella gran parte dei casi si aggiri una dimensione fondamentale dell’augurio di inizio anno. Ci auguriamo cose e ci aspettiamo situazioni anche importanti, come la salute, il lavoro il benessere e i più romantici chiedono l’amore; quasi che le cose ci cadano dal cielo, ci capitino, che i «doni» ci vengano propiziati da chissà quale rito scaramantico o da segrete fortune; d’altronde non si capirebbe perché in questi giorni si vendano, si consultino, si ascoltino le corbellerie degli oroscopi e degli affini.
La prospettiva invece che dovremmo avere è differente. Dovremmo augurarci di essere in grado di praticare il bene, la salute, di diventare uomini e donne di pace. Dovremmo insomma capovolgere la domanda da cosa mi aspetto dal 2020 a cosa l’anno nuovo si aspetta da me. E non bastano nemmeno i buoni propositi a se stessi, che si dissolvono anche prima dell’Epifania.
So perfettamente che terminiamo questo anno e ne ricominciamo un altro con il sentire altalenante che va ora verso la paura e un po’ verso la sfiducia. Lo avverto in tante circostanze, ma sebbene siano sentimenti comprensibili non possono essere in noi definitivi, perché sono gli esatti stati d’animo di chi è paralizzato e non può protrarsi verso il futuro. Capisco bene che non sono le parole, anche le migliori, a neutralizzare paura e sfiducia ma nemmeno rassegnarsi ad esse. Se la Provvidenza ci concede di vivere il 2020, un primo segno è che non siamo condannati all’ineluttabilità dei fatti. Guardando alla mia Taranto che è, per la complicanza delle vicende specchio fedele di quest’Italia, il mio augurio è che ognuno si senta parte di un progetto più grande, nel quale attuare il cambiamento, di smettere di pensare che spetti solo ad altri il compito di agire. A terzi attori di volta in volta diversi, a seconda di quel che ci sta a cuore.
Pretendiamo ogni cosa e ci rifugiamo nel benessere delle nostre cose, dei nostri piccoli interessi. Mi capita di conoscere enti e realtà fra le più disparate, più legate alla visibilità dei propri post sui social che al reale bene della comunità, per poi provare inevitabilmente l’insoddisfazione e l’inutilità sociale.
Quale dovrebbe essere allora il proposito?
Le vicende della città ci narrano lo scontro di interessi diversi, tutti legittimi, che paiono inconciliabili; le soluzioni semplici proposte mostrano subito la loro fragilità e si lasciano dietro i cocci di tante relazioni. Ne facciamo esperienza da anni con dolore. Il proposito che dovremmo mettere in cima alla lista è allora quello di impegnarci ad essere comunità, solidale e operosa, ognuno piccola goccia di un mare di nuovo limpido e vivo. Un mare di uomini e donne consapevoli delle potenzialità, delle risorse della comunità ma anche dei sacrifici, dell’impegno necessario per far sì che nessuno resti indietro. Abbiamo vissuto un altro anno difficile, abbiamo altresì registrato un rinnovato impegno delle istituzioni per garantire a Taranto la possibilità di riscrivere un futuro che pareva ineludibile, tocca a noi, da subito, essere all’altezza di questa difficile partita, ognuno nel suo ruolo e nel rispetto reciproco, aggiungo, rispettosi dei modi e dei toni.
Da quel Bambino di Betlemme è cominciato un itinerario di pace anche in circostanze avverse come l’estrema povertà e l’odio dei potenti. E di lì è cominciato un nuovo inizio.
Non perdo occasione di dire ai miei preti, ad esempio, che la conduzione di una partita di calcio che si spera vincente, dipende in prima battuta dallo spirito con cui i giocatori entrano in campo. Come entriamo nel campo del 2020? Sempre usando la metafora calcistica che mi sembra univoca: vogliamo giocare dando solo dimostrazione di singoli virtuosismi? Accontentarci di dare spettacolo di sé o vincere come squadra? Abbiamo davanti a noi una sfida che ci chiama, che ci chiede di uscire dalla nostra zona di comfort e di metterci in gioco. Questo auguriamoci, di essere generosi e di non lesinare impegno. Per questo io prego perché il 2020 sia un anno di maturità e responsabilità e come ci chiede papa Francesco, nel suo messaggio per la Giornata della Pace, un percorso che non eluda la riconciliazione necessaria per abbattere ogni muro e costruire speranza certa. Buon Anno".
Mons. Filippo Santoro
Arcivescovo di Taranto
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