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Ultimo aggiornamentoSab, 03 Ago 2024 2pm

Trivelle in mare: le ragioni del si e del no a confronto sul referendum

Le ragioni del “SI” e del “NO” al referendum sulle trivelle in mare per la ricerca e lo sfruttamento degli idrocarburi in mare.

Queste sono, in sintesi, le ragioni del “si”.

Il Governo non ha voluto unificare a giugno il voto per le elezioni amministrative e per il referendum sulle piattaforme petrolifere esistenti:
• La Paura governativa del raggiungimento del quorum e l’unica causa dello spreco di 320 milioni di euro e dell’assurda anticipazione del referendum;
• Il quesito referendario concerne il rinnovo di concessioni che garantiscono appena 1% della copertura della domanda italiana di petrolio ed il 3% dei quella di gas; le piattaforme esistenti non sono affatto strategiche nel mercato di tali combustibili fossili!!
• In Italia, attualmente, i consumi elettrici sono coperti per il 43% dalle fonti rinnovabili, ben 23.000 Mw di centrali termoelettriche a ciclo combinato (alimentate a metano) sono in riserva (ferme o a regime d’esercizio ridotto) ed alle forniture di combustibili andranno ad aggiungersi ingenti adduzioni integrative, fra le quali i 10-12 miliardi di mc. annui di gas portati dal gasdotto della società TAP; Rinnovare le concessioni per le piattaforme esistenti è un investimento assurdo ed in controtendenza rispetto all’andamento del sistema energetico generale e di quello dell’energia elettrica in primis!
• Le piattaforme petrolifere sono impianti ad alto rischio di incidente rilevante che possono subire anche eventi catastrofici come è successo nel Golfo del Messico: Che senso ha far proseguire l’esercizio d’impianti a rischio scarsamente produttivi in un mare, come quello Adriatico, con scarsissimo ricambio idrico?
• Brindisi ha già dato il suo pesante contributo con le piattaforme “Aquila” (e l’inchiesta di Potenza sta mostrando risvolti inquietanti) ed ha il diritto di scegliere un futuro diverso!

 
Per queste ragioni il 17 Aprile VOTA “SI” contro chi ha ‘paura del tuo voto e per un futuro energetico fuori dal carbone e dai combustibili fossili e fondato su efficienza e fonti rinnovabili.

 

Queste sono, invece, in sintesi, le ragioni del “No”.

Possono essere raggruppate sostanzialmente a quattro le questioni fondamentali alla base del “No”.

La questione energetica. L’Italia estrae sul suo territorio il 10% del gas e del petrolio che utilizza: se le concessioni in scadenza non dovessero essere rinnovate l’Italia diventerebbe maggiormente dipendente dai paesi fornitori come la Russia.

La questione ambientale. Se il referendum vincesse, arriverebbero in Italia più petroliere, aumentando i rischi di inquinamento da idrocarburi nel mar Mediterraneo. La questione sociale e occupazionale. La chiusura delle piattaforme significherebbe per le migliaia di persone lavorano nel settore la fine dei loro posti di lavoro.

La questione politica. Il referendum è lo strumento sbagliato per chiedere al governo maggiori investimenti nelle energie rinnovabili e, inoltre, svela, come scrive Giordano Masini su Strade (anch’egli membro del “Comitato Ottimisti e Razionali”), «un approccio fideistico e superstizioso ai problemi ambientali, che ne rifiuta la complessità e ne promuove la non-soluzione irrazionale in cambio di una comoda rimozione - occhio non vede, cuore non duole». Il referendum sarebbe, così, “intriso di sindrombe Nimby”, cioè attento a difendere il proprio cortile, senza porsi una visione d’insieme.

Il referendum fermerà le attività di estrazione di petrolio in Italia? No. Le piattaforme presenti entro le 12 miglia, oggetto del quesito referendario, sono 92, di cui 48 eroganti. Di queste 39 estraggono gas e solo 9 petrolio. Solo l’8,7% del petrolio estratto in Italia è in mare. Gran parte della ricerca di idrocarburi in Italia avviene, infatti, su terraferma. Su 107 concessioni autorizzate, 84 sono su terraferma e 23 sul fondale marino.