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Ultimo aggiornamentoSab, 03 Ago 2024 2pm

Legambiente chiede ai candidati sindaco di Brindisi di programmare una strategia di uscita dal termoelettrico

Il 26 aprile di trent’anni fa, l’esplosione del reattore della centrale elettronucleare di Chernobyl provocò un disastro ambientale e sanitario in Ucraina e Bielorussia.
Le autorità dell’Unione Sovietica provarono maldestramente a nascondere prima il grave incidente e poi i suoi effetti e, altrettanto maldestramente in Europa si provò a sostenere che la causa fosse da ricercare unicamente nell’arretratezza dell’impianto e delle misure di sicurezza sovietiche.
In Italia non esisteva (e non esiste ancora oggi) un Piano Energetico Nazionale, ma il governo voleva realizzare nuovi impianti elettronucleari e termoelettrici alimentati a carbone sulla base di spropositate previsioni sulla domanda di energia elettrica.
La Puglia era una delle regioni più interessate da questa volutamente errata programmazione, tanto è vero che si voleva costruire un impianto elettronucleare di 2000 MW ad Avetrana o a Carovigno da aggiungere alla centrale termoelettrica a carbone di 2640 MW autorizzate nel territorio di Brindisi (a Cerano).
Il 16 maggio 1986 si svolse a Cerano una partecipatissima manifestazione ambientalista a cui aderirono 10.000 persone.
Una ferma opposizione popolare fu testimoniata dalle altissime percentuale nei referendum indetti dalle amministrazioni locali salentine e nel referendum nazionale sulla scelta nucleare che si svolse dopo l’incidente di Chernobyl. Come si sa, un nuovo referendum ha bocciato definitivamente la scelta nucleare: l’incidente di Fukushima ha testimoniato quanto forti siano i rischi in impianti industriali sulla carta ben più avanzati tecnologicamente di quelli dell’ex Unione sovietica.

Il carbone resta oggi la principale fonte energetica inquinante e climalterante ed in Puglia va programmata non una strategia di decarbonizzazione, ma di uscita dal termoelettrico.

Gli studi epidemiologici (dal “Rapporto Sentieri” allo studio del CNR) testimoniano i livelli di morbilità e di mortalità collegabili alle emissioni prodotte dalla combustione di carbone e proseguono gli sforamenti di pm10 registrati dalle centraline di rilevamento localizzate nella zona da Brindisi fino ai confini con la provincia di Lecce: fino al 20 aprile 31 sono stati gli sforamenti complessivi nella città di Brindisi, ben 28 (su un massimo di 35 ammissibili nel corso dell’anno) si sono registrati nella sola centralina situata in Via Don Minzoni a Torchiarolo (la stessa menzionata nella procedura di infrazione dalla UE disposta per l’Italia).

Legambiente chiede agli amministratori locali quali provvedimenti intendano assumere, tanto più alla luce del fatto che l’ordinanza di novembre 2015 del sindaco di Torchiarolo ha imposto i filtri sui camini domestici per individuare la causa degli sforamenti e tutelare la salute pubblica e l’ambiente.

Agli stessi amministratori ed ai candidati alla carica di sindaco nelle prossime elezioni comunali a Brindisi Legambiente chiede anche di programmare la strategia di uscita dal termoelettrico in considerazione dell’attuale sproporzione fra produzione (circa 39.000 gigawattore) e domanda (17.000 gwh) in Puglia, della crescente percentuale di tale domanda (in Italia pari al 43%) coperta dalle fonti rinnovabili e del rischio che sia il mercato a mettere in crisi un impianto così lontano dai luoghi di effettivo consumo.