I giudizi di Vendola sull'Europa e la crisi economica
L’intervento conclusivo del presidente della Regione Puglia Nichi Vendola al dibattito sulla sessione comunitaria 2014 ha preso avvio dalla riflessione sulla crisi del processo di integrazione europea, sancito dal voto delle elezioni europee del 25 maggio. Pur riconoscendo l’accresciuto potere del Parlamento europeo, il governatore ha sottolineato come la stessa Assemblea “sia attraversata dal rigetto del progetto e del sogno degli Stati Uniti d’Europa”. “L’euroscetticismo - ha continuato - ha assunto una soggettività plurima, molteplice, che sta aggredendo alle radici il progetto di unione europea”.
Il presidente ha ricordato l’impegno della Regione Puglia “ad abbattere le barriere che ci impedivano di esercitare le nostre prerogative di essere cittadini europei. Ci siamo impegnati a proporre questioni di grande delicatezza, come il problema dei modelli di governance del ciclo integrato dell’acqua, abbiamo ragionato di bacini idrografici, abbiamo ragionato soprattutto di processi di desertificazione, delle mutazioni climatiche. E quando l’Europa ci parlava di innovazione, noi l’abbiamo presa sul serio. Tuttavia, possiamo continuare a essere europei nel dettaglio, nella costruzione di politiche di settore”.
Ritornando alla “incapacità dell’Europa di essere un punto di riferimento nel mondo”, il governatore ha espresso la sua convinzione: che si stia cercando di "risolvere per via procedimentale ciò che costituisce un problema politico gigantesco, e cioè la mancanza dell’Europa, la sua difficoltà ad essere capita dai territori”.
Guardando alla cronaca recente, Vendola ha parlato di "un’Europa assente di fronte alla tragedia di Gaza, in un momento in cui doveva intensificare l’azione di pressione per rendere effettivo il negoziato di pace, che non sente il conflitto e il confronto con la civiltà nel suo complesso plurale del Mediterraneo, di cui Gerusalemme è capitale non solo terrena, è un’Europa che non ha significato”.
Sul versante poi della crisi economica, che dagli Stati Uniti d’America si è abbattuta sul vecchio continente, l'Europa "ha pensato di rispondere con politiche di compressione dei diritti sociali, dei redditi dei ceti medio-bassi e di aggressione al welfare. L’Europa dell’austerity”.
Ancora “un’Europa che sarebbe dovuta uscire turbata e inquieta dal voto del 25 maggio, ma che invece il 26 maggio ha voltato pagina, mettendo in archivio il significato di quel voto, che ha visto tutte le famiglie principali della democrazia europea schiaffeggiate, il Partito Popolare, uscito con una perdita secca dal voto europeo, il Partito del Socialismo Europeo, che ha subìto una sconfitta drammatica in Francia e in Grecia”.
Per quanto rigurada poi le politiche dell’immigrazione, secondo Vendola “dovrebbero essere lette, come una cartina di tornasole di un continente che non ha più missione, che non ha più ambizione, che non ha più vocazione, di un continente nel quale la percezione di sé è come di un fortino assediato che si rinchiude nelle proprie certezze. È la fine di quella grande speranza nel mondo che aveva rappresentato un continente che era un paradigma perché aveva saputo declinare le libertà individuali con i diritti sociali, con l’aspirazione alla pace."
"La pace - ha concluso - richiede una politica per quanto riguarda gli armamenti, per quanto riguarda l’applicazione delle risoluzioni dell’ONU e la vigenza del diritto internazionale. L’Europa che non sa fare la pace è l’Europa che non sa dare lavoro. Un’Europa così rischia semplicemente di camminare con una ricchezza di regolamenti, di istituzioni e di burocrazia verso il proprio declino, verso la propria irrilevanza”.
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