Morte bracciante ad Andria: anche Codacons vuole essere parte civile nel processo
Il corpo di Paola Clemente, la bracciante 49enne morta il 13 luglio scorso mentre lavorava nelle campagne di Andria, sarà riesumato martedì 25 agosto e nella stessa giornata verrà eseguita l’autopsia disposta per accertare le cause del decesso. Quello di Paola non è un caso isolato in una Puglia flagellata purtroppo da sempre dal fenomeno del caporalato e da morti bianche.
Tre i casi pugliesi che hanno fatto più discutere in questi giorni l’Italia intera: oltre a quello di Paola, di san Giorgio Jonico (provincia di Taranto), quello di Mohammed, sudanese morto sul lavoro nelle campagne di Nardò (provincia di Lecce) e la vita in bilico di Zakaria Ben Hassine, in un’azienda agricola di Polignano a Mare (provincia di Bari). Purtroppo a questi decessi cui si è aggiunto quello della 39enne di Massafra Maria Lemma. La notizia è di queste ore nonostante l’episodio risalga a tempo addietro. Poi non bisogno dimenticare Arcangelo, anche lui di San Giorgio Jonico, che è ora in coma dopo essere stato soccorso in campagna dove lavorava per i “padroni” terrieri.
Nel processo che si terrà per la morte di Paola Clemente intanto ha annunciato di costituirsi parte civile nel procedimento l'associazione dei consumatori Codacons.
Carlo Rienzi, presidente del Codacons, evidenzia che “lo sfruttamento del lavoro rappresenta un danno per l'intera collettività, perché oltre a violare i diritti dei lavoratori crea distorsioni del mercato con ripercussioni sulla concorrenza e sulla qualità delle produzioni. Per tale motivo abbiamo deciso di costituirci parte civile in questa vicenda e chiederemo un risarcimento in rappresentanza della collettività qualora dovessero emergere illeciti".
Il problema del caporalato sta arroventando anche il clima politico. Maurizio Martina, ministro dell’Agricoltura ha annunciato che “il 27 agosto ci sarà un vertice nazionale proprio sui temi del caporalato. Con il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, terremo un vertice nazionale proprio sui temi del caporalato. Inviteremo le
organizzazioni sindacali, le associazioni delle imprese agricole, l’ispettorato, l’Inps e costruiremo immediatamente una riflessione condivisa per andare avanti. Dopo la Rete del lavoro agricolo di qualità dobbiamo maturare altre scelte radicali. In particolare io penso all’idea di costruire delle task force territoriali, soprattutto in alcune regioni, ed è un’operazione che va assolutamente consolidata nelle prossime settimane”.
Il ministro nei giorni scorsi aveva usato parole forti per commentare la morte di Paola: “Il caporalato in agricoltura è un fenomeno da combattere come la mafia. Dal primo settembre le aziende agricole potranno
aderire alla “Rete” tramite il portare internet Inps. Per la prima volta in Italia si istituisce un sistema pubblico di certificazione etica del lavoro che riguarderà proprio le imprese agricole. Il “certificato di qualità” non sarà un semplice bollino di natura burocratica, ma attesterà il percorso delle verifiche puntuali e preventive effettuate
individuando e valorizzando le aziende virtuose. Il coordinamento tra istituzioni e parti sociali sarà ulteriormente rafforzato con il completamento dell’iter parlamentare del “collegato agricoltura” che prevede l’adesione alla Rete, attraverso la stipula di convenzioni, degli sportelli unici per l’immigrazione, delle istituzioni locali, dei centri per l’impiego e degli enti bilaterali costituiti dalle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori in agricoltura”.
Intanto c’è chi insiste sulla necessità di istituire un’apposita commissione parlamentare d’inchiesta. Tra questi c’è il parlamentare di SEL Dario Stefàno che è stato anche assessore regionale, in Puglia, all’Agricoltura.
“Ho avuto numerosi incontri per confrontarmi su questo problema in questi giorni e l’esito di questi confronti – fa sapere Stefàno - è di evidenziare la necessità di istituire una Commissione d’inchiesta parlamentare perché nonostante il passo avanti ottenuto con la previsione del reato di caporalato nel nostro codice penale, resistono difficoltà importanti e sostanziali nella prevenzione e nell’accertamento, così come nell’attribuzione di questa fattispecie criminosa».
Ma ci si chiede: può bastare una commissione d’inchiesta di parlamentari per porre freno a questo fenomeno così atavico in Puglia?
“Solo questo certamente non può bastare. Ho ritenuto necessario – chiarisce Stefàano – prevedere anche un approfondimento su quei fenomeni sempre più diffusi quanto originali che rientrano nel cosiddetto “lavoro grigio”, dove le norme sembrano essere rispettate, ma nei fatti si lacerano diritti e dignità. La proposta di Commissione d’inchiesta nasce con l’intento di rendere maggiormente cogenti gli impegni normativi così come maggiormente puntuale lo stato dell’arte circa lo sfruttamento della manodopera in generale.”. (Carmelo Molfetta)
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