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Ultimo aggiornamentoSab, 03 Ago 2024 2pm

Mafia nel Leccese: 22 arrestati anche un vicesindaco

Piazza pulita nel Leccese dopo che sono finiti in carcere componenti e fiancheggiatori del clan gestito dall’ergastolano Luigi Giannelli. Ora in carcere è stato rinchiuso anche suo figlio Marco Antonio che gestiva il Basso Salento dal suo posto di comando: Parabita. Il controllo della zona di Matino era affidata a Vincenzo Costa e quella di Collepasso a Cosimo Paglialonga.  

C'è anche il vicesindaco di Parabita, Giuseppe Provenzano, tra gli arrestati. E’ accusato di aver favorito assunzioni in un’azienda di raccolta rifiuti di parenti del clan e di aver ricevuto in cambio voti di preferenza nelle ultime Comunali. Il politico è indagato per concorso esterno in associazione mafiosa, così come l'imprenditore Pasquale Aluisi, titolare di un'agenzia di onoranze funebri, che avrebbe versato periodiche mazzette per ottenere appalti in regime di monopolio.  Per favorirlo gli uomini di Giannelli avrebbero effettuato una serie di atti intimidatori e danneggiamenti ai danni di ditte concorrenti.

Tra gli arrestati, oltre a Marco Antonio Giannelli, anche il cugino Adriano Giannelli e poi Fernando Cataldi, Donato, Orazio e Fernando Mercuri, Giovanni Picciolo, Mauro Ungaro e Besar Kurtalija. C'è anche Ivan Mazzotta, nell’elenco dei 22 arrestati. E’ un infermiere professionale e in passato è stato consigliere comunale. Dietro le sbarre ora ci sono pure i fratelli Claudio e Leonardo Donadei, A svelare la composizione del clan e i ruoli di ciascun affiliato è stato il pentito Massimo Donadei.

Come facevano i boss incarcerati a impartire gli ordini al loro gruppo? Tramite i colloqui in carcere con i familiari. E così che Donato Mercuri e Claudio Donadei, uomini di fiducia del boss storico Luigi, facevano giungere le disposizioni operative agli affiliati in libertà. I reati contestati, a vario titolo, agli indagati: associazione per delinquere di stampo mafioso al concorso esterno, associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, estorsione aggravata dal metodo mafioso, corruzione, detenzione illegale di armi da fuoco e danneggiamento.  

Il clan gestiva estorsioni e traffico di droga e armi. Ma ciò che più sconcerta è che stesse preparando addirittura un attentato contro il parroco don Angelo Corvo e un altro per uccidere il maresciallo dei carabinieri della stazione di Parabita. 

Il maresciallo stava dando "troppo fastidio" al clan e quindi meritava una lezione ma perché un attentato ad un prete? Il parroco aveva chiesto pubbliamente giustizia per la piccola Angelica Pirtoli e per la mamma Paola Rizzello assassinate nel 1991. Una posizione, questa di Don Angelo Corvo, che infastidiva il clan. (Rezarta Tahiraj)