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Ultimo aggiornamentoSab, 03 Ago 2024 2pm

A due mesi dal primo caso di coronavirus in Puglia i medici ancora senza protezioni. Le richieste di Fimmgi

"E' opportuno innanzitutto precisare che i Medici di Famiglia non hanno mai abbandonato i propri pazienti, né sul territorio, né nelle RSA. Hanno continuato a offrire ai pazienti le migliori cure possibili nelle condizioni in cui sono stati costretti a lavorare, e cioè in assenza totale di dispositivi di protezione individuale". Lo chiarisce Nicola Calabrese, segretario provinciale Fimmgi, sindacato medici di famiglia, di Bari in una lunga lettera inviata al direttore generale Asl di Bari, Antonio Sanguedolce, ma indirettamente a Michele Emiliano che ha delega di assessore regionale alla sanità della Regione Puglia.

E quali sono questo dispositivi di protezione che questi medici chiedono ancora a distanza di circa due mesi dal primo caso di morte da coronavirus in Puglia?  Questo è l'elenco specifico del materiale che è stato chiesto sin dall'inizio dell'emergenza: tuta integrale (full body con cappuccio); maschera (almeno ffp2 senza valvola); occhiali e visiera protettive; doppi guanti; calzari soprascarpe; tutti gli strumenti idonei a visitare il paziente (fonendoscopio/sfigmomanometro/martelletto per riflessi/pulsiossimetro/penna per scrivere etc etc...); Doppio Tampone diagnostico per individuazione Covid-19, cui sottoporre il medico prima e dopo l'accesso alla struttura stanza disinfettata all'interno della struttura, a breve distanza dall'ingresso esterno, ove potersi cambiare il medico e liberarsi di tutti gli indumenti anti contaminazione.

Protezioni di cui il medico di famiglia ha assoluto bisogno per non diventare egli stesso portatore del virus ai propri assistiti e all'interno della strutture per gli anziani con tutte le responsabilità a questo conseguenti, anche sotto il profilo penale. Ecco perché il sindacato di questa categoria di medici chiede all'Asl di fornire tutti i dispositivi necessari per lo svolgimento del proprio lavoro e in particolare per un accesso, in piena sicurezza per tutti, nelle Rsa.

Ovviamente di tutta tale attrezzatura sarà necessario - precisano i medici di base - "disporre preventivamente, a cura del DSS, i certificati di idoneità da parte delle autorità competenti. In mancanza, il DSS vorrà disporre l’ingresso con apposita autorizzazione e assunzione di responsabilità".

Materiale - è opportuno precisare - che i medici di famiglia continuano ancora oggi a non avere e senza di esso, pertanto, "nessun Medico di Famiglia, ha avuto accesso e può tuttora accedere all'interno delle RSA e RSSA, dovendosi limitare al triage telefonico e, in caso di necessità, far disporre attraverso i sanitari interni alla struttura, il ricovero con trasporto attraverso il SET 118" anche nel rispetto delle disposizioni in vigore emanate proprio dalla Regione. Infatti in una nota del 10 marzo il Dipartimento della Salute della Regione Puglia precisava che per "le attività di assistenza domiciliare integrata (ADI), dovevano essere garantite previo triage telefonico pre-trattamento secondo quanto previsto dalle circolari ministeriali in materia di emergenza sanitaria da COVID-19 e, fornendo agli operatori addetti i dispositivi di protezione individuale correlati al rischio individuato". Sempre nello stesso documento (Prot. N AOO/5/00197 del 10/03/2020, All. 5), si precisava che è fatto espresso divieto di far accedere al Centro Diurno visitatori, familiari e ogni altro soggetto che non sia il personale operante nella struttura.

Peraltro, tanto era opportuno proprio al fine di evitare che fosse il medico di famiglia, attraverso l’accesso alla struttura dall'esterno, ad essere egli stesso portatore del virus all'interno della medesima RSA in considerazione della mancanza dei necessari dispositivi di sicurezza.

Successivamente, in data 10 aprile, la ASL Bari - fa sapere Calabrese - "ha inviato una lettera indirizzata al coordinatore della RSA Villa Giovanna a Bari invitando la struttura a consentire l’accesso per la valutazione delle condizioni dei pazienti e a mettere a disposizione i dispositivi di protezione che, di fatto, non sono mai stati consegnati dal Distretto o da alcuno e, pertanto, anche in tale caso, è stato impossibile consentire l'accesso al medico di famiglia".

Ecco perché - spiega Calabrese - i medici di famiglia, hanno continuano a "monitorare i propri pazienti a distanza, attraverso il coordinamento con gli infermieri e il responsabile sanitario della struttura".

Asl di Bari si contraddisce totalmente - secondo Calabrese - tra le disposizioni emanate il 10 marzo e quelle del 10 aprile e quindi con una lettera ha chiesto ufficialmente "di comprendere se ogni singolo medico di famiglia, in relazione ai propri pazienti ricoverati presso le RSA, oltre al triage telefonico, possa, e con quali modalità, accedere all'interno delle strutture RSA (come dalla ASL Bari specificato in data 10 aprile 2020) atteso che tale “invito” si pone apparentemente in violazione di quanto deciso e disposto con nota del 10 marzo 2020 dal Dipartimento della Salute della Regione Puglia, sovraordinato alla ASL. Se cioè questo invito è del tutto estemporaneo e dettato da esigenze di autotutela ovvero rientra in un piano organico di cura che sostituisce eventualmente la strategia originaria della Regione di cui però non si sa nulla".

Confusione e contradditorietà nelle disposizioni emanate ai medici dalla Regione Puglia tramite le Asl e a pagarne le spese, anche in termini di vite umane, sono putroppo i cittadini, soprattutto quelli più fragili come gli anziani. (R.T.)